Una granfondo questa del Gran Trofeo Gs Alpi, valevole anche come prova di Coppa Lombardia, che per tracciati e difficoltà, somiglia però più ad una tappa del Giro d’Italia e che ha invitato quasi 2000 appassionati a misurarsi con una delle salite più ardite del ciclismo: il Mortirolo.
La leggendaria e terribile salita che ha fatto la storia del Giro e creato il mito di Pantani dopo la celebre scalata del 1994, è stata affrontata infatti in tutti e 3 i percorsi proposti anche se da differenti versanti. Sul tracciato più corto, 85 km per 1850 mt di dislivello, in cui si sono impegnati Antoci, D’Intino, Maulini e Vivarelli, il Passo del Mortirolo è stato affrontato da Monno, nel suo versante più ‘dolce’ con pendenza media del 6/ 7% e tratti al di sopra del 10%, lungo da Edolo alla cima 17km circa, da Monno 11,2km. Oltre a questa prima salita, a fine percorso il S.Cristina con strappi dal 9% fino al 16% per 6,8 km di lunghezza.
Decisamente più impegnativa la prova della mediofondo, dove i chilometri sono stati 98 per un dislivello totale di 2650 mt e la scalata del Mortirolo doppia, per via della chiusura del Passo Gavia a causa di una frana. La prima ascesa è stata quella da Monno, mentre la seconda da Mazzo di Valtellina. La più ripida quella che Leonardo Sierra, primo uomo a violare la vetta del Mortirolo nel 1990 descriveva come “una rampa di garage moltiplicata per undici kilometri”, un iceberg verde con picchi medi del 10% e punte affilate fino al 20% . Su questo tracciato hanno registrato risultati di tutto rispetto Centonze, Comerio, Piciaccia, Vivacqua e Sguazzini che ha anche regalato alla squadra il podio nella categoria M7, con un esaltante 4° posto.
In 6 atleti hanno invece voluto cimentarsi nell’impresa quasi epica ed interminabile del percorso lungo, 120 km con dislivello oltre 3300mt, che dopo il doppio Mortirolo terminava con la scalata del valico di S. Cristina: Cesa, D’Addeo, Marchetti, Preda, Ricci e Ruocco. I risultati eccellenti su questo percorso per scalatori di razza sono quelli di Massimo D’Addeo 7 di categoria e Riccardo Preda, 45esimo assoluto.
Ma la vittoria è davvero di tutti, perché portare a termine questi percorsi richiede un impegno di gambe, cuore e anima al limite della sopportazione umana. Ci vuole coraggio già solo a provarci, ma scalare fino alla fine quella che per Contador è la montagna più dura del mondo e che per i comuni ciclisti è un Mostro senza mettere piede a terra, testa bassa tornante dopo tornante all’infinito, significa comunque vincere e coronare un sogno perché alla fine la passione premia sempre.